In caso di accertamento di una società di capitali a ristretta base societaria, con rettifica in aumento del reddito imponibile, può essere contestata al socio l’omessa indicazione di un reddito di capitale, in proporzione delle quote possedute. Secondo la prevalente giurisprudenza il ridotto numero dei soci consente infatti di presumere che vi sia un reciproco controllo della gestione e che gli utili extracontabili (sia derivanti da ricavi considerati evasi dalla società e sia da costi ritenuti indeducibili) siano stati ripartiti tra i soci.
In caso di accertamento derivante dalla contestazione di indeducibilità di costi, si segnalano due pronunce di Cassazione (la 17959 e la 17960 del 2012), secondo le quali “i costi costituiscono un elemento importante ai fini della determinazione del reddito d'impresa, sicché, allorquando essi siano fittizi o indeducibili, scatta la presunzione che il medesimo è maggiore di quanto dichiarato, con la conseguenza che non si può riscontrare alcuna differenza tra la percezione di maggiori ricavi e l’indeducibilità o inesistenza di costi”.
La recentissima sentenza della Cassazione n. 27186 del 12/12/2013 ha confermato la legittimità delle sanzioni irrogate per la violazione degli obblighi di redazione e presentazione del modello 770 a carico della società, in quanto quest'ultima sarebbe il sostituto d’imposta per le ritenute connesse agli utili extracontabili accertati.
Esiste anche giurisprudenza contraria a tale impostazione; ad esempio la sentenza 574/2010 della Ctr Lazio ha ritenuto che la presunzione di distribuzione può essere legittima solo qualora sia fondata sull’esistenza di ricavi non contabilizzati e/o costi inesistenti, in quanto sono le uniche ipotesi in cui è “logicamente presumibile ritenere che i soci abbiano incassato somme in nero”.