La giurisprudenza di Cassazione e la prassi dell’Agenzia delle Entrate hanno messo dei punti fermi sulla documentazione idonea a provare l'arrivo dei beni ceduti ad altro Paese comunitario, circostanza che rappresenta uno dei presupposti per la non imponibilità delle cessioni intra-Ue. Si tratta di una materia finora caratterizzata dall'assenza di un quadro interpretativo generale. Il tema è molto sentito soprattutto per le vendite con clausola «franco fabbrica». La risoluzione 19/E/2013 sembra imporre al cedente l'obbligo (per i trasporti su strada) di avere copia della lettera di vettura CMR (contratto di trasporto) firmata per ricevuta dal destinatario dei beni nello Stato di arrivo, oltre che dal vettore e dal cedente. In alternativa, gli elementi della CMR possono essere ricavati dal documento di trasporto firmato dal cessionario a riprova della ricezione della merce, oppure da una sua dichiarazione che confermi l'arrivo dei beni a destino. Se manca questa documentazione, è quindi molto probabile che i verificatori contesteranno la disapplicazione dell'imposta con le conseguenti sanzioni. Ciò anche in base al restrittivo orientamento affermato dalla Cassazione con la sentenza 19747/2013, secondo la quale neppure la lettera di vettura sarebbe sufficiente, nelle vendite franco fabbrica, a provare il diritto alla non imponibilità Iva della cessione. Sarebbe invece necessario un altro documento, firmato dal destinatario, che attesti che la merce è stata ricevuta nello Stato membro di arrivo. Solo se mancano questi documenti, si potrebbe fare riferimento ad altri elementi di prova, come, stando alla sentenza, le ricevute per il rifornimento di carburante all'estero.
La Cassazione, nella sentenza 19747/2013, esamina anche le circostanze idonee a provare la buona fede e, dunque, il corretto adempimento degli obblighi di diligenza richiesti all'operatore commerciale professionale. I giudici precisano che, se i documenti non sono disponibili (come è probabile, se il cessionario è coinvolto in una frode), il cedente deve provare di averli richiesti, prevedendo, per esempio, la restituzione dei documenti direttamente nei contratti stipulati con il vettore, lo spedizioniere e il cessionario. Ma non basta, perché se, nonostante la previsione contrattuale, la controparte non fornisce i documenti, occorre dimostrare di aver fatto il possibile per ottenerli, anche in via giudiziaria. Questa precisazione può apparire esagerata se l'operazione non è economicamente rilevante. Non è però irragionevole ipotizzare una forma di collusione se, di fronte al rischio di una pesante contestazione per imposta e sanzioni, il venditore resta inerte.
Il manuale delle procedure aziendali per le cessioni intracomunitarie dovrebbe dunque essere aggiornato. Oltre agli obblighi di legge (richiesta dell'identificativo Iva dell'acquirente, verifica della sua validità, compilazione del modello Intrastat) e all'esecuzione degli adempimenti contabili (emissione della fattura con l'annotazione «operazione non imponibile») e amministrativi (copia della documentazione bancaria che attesta i pagamenti), occorre anche conservare copia dei documenti contrattuali e commerciali e di trasporto (CMR o DDT firmati per ricevuta della merce a destino, attestazioni di ricezione merce) o, se mancano, deve essere disponibile la documentazione che attesta l'inadempimento del cessionario all'obbligo di fornirli. Il tutto, con evidenti complicazioni quando si tratta di coinvolgere anche altri soggetti, come avviene per le operazioni triangolari.