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Venerdì, 1 Marzo, 2019
fatture soggettivamente inesistenti

in relazione alla problematica relativa alla dimostrazione della buona fede del contribuente nel caso di contestazione di soggettiva falsità di fatture di acquisto,  la Guardia di Finanza ha fornito chiarimenti, rispondendo a domande poste durante l’evento Telefisco del 31/1/2019, organizzato da Il Sole 24 Ore.

Di seguito si riporta la risposta n. 5.

 

N. 5 – Verifiche preventive

Domanda: Per la dimostrazione di buona fede nell’ambito di fatture soggettivamente inesistenti, quali sono i comportamenti del contribuente per dimostrare la propria buona fede nell’ipotesi di fornitore reperito su internet i cui prezzi sono concorrenziali relativamente ad un’attività esclusivamente commerciale senza magazzino?

Risposta: Per consolidata giurisprudenza, in presenza di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta può essere disconosciuto solo quando l’Amministrazione finanziaria dimostri, sulla base di elementi oggettivi, la conoscenza o la conoscibilità da parte del cessionario del coinvolgimento del cedente in un circuito di frode.

In tal caso, sarà poi il cessionario a dover provare di non essere stato a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo non era l’emittente della fattura ma un altro soggetto e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto. A tal fine, non assumono rilievo né la prova della regolarità formale delle scritture contabili e dell’avvenuta effettuazione dei pagamenti né la prova dell’inesistenza di un vantaggio conseguito perché i prezzi di vendita sono conformi o superiori alla media di mercato (si veda sentenza della Cassazione n. 24321 del 2018).

Nel quesito prospettato, si ritiene che il contribuente possa assolvere l’onere probatorio posto a suo carico dimostrando, in primo luogo, attraverso l’esibizione di e-mail, fax o lettere, che i rapporti sono intercorsi direttamente con l’impresa interposta o con soggetti alla stessa riconducibili; inoltre, egli potrà provare di aver adottato tutte le misure “preventive” necessarie a verificare – per quanto consentito e senza poter pretendere un dovere d’indagine – la “regolarità” dell’operatore con cui ha intrattenuto i rapporti commerciali, fornendo ai verificatori, ad esempio, documentazione comprovante i riscontri effettuati presso il registro delle imprese tenuto dalle Camere di Commercio sull’esistenza e l’effettiva operatività del fornitore, la qualifica del soggetto con cui ha intrattenuto i rapporti e la sua riconducibilità all’impresa indicata in fattura.

Va ricordato, in ogni caso, che la Guardia di Finanza, quando effettua indagini a contrasto delle frodi Iva, opera anche come polizia giudiziaria, ricorrendo normalmente alle più penetranti potestà d’indagine previste dal codice di procedura penale, che possono consentire di acquisire un quadro probatorio più dettagliato e concludente.